Doppio incontro questa mattina per il ciclo delle “conversazioni d’artista” di Napoli Teatro Festival Italia.
Luca Scarlini, che torna a fare gli onori di casa nel salone di Palazzo Reale, sede della Fondazione Premio Napoli, incontra, secondo la formula ormai collaudata di questi appuntamenti mattutini, i registi Geppy Gleijeses e Francesco Saponaro.
Ore 11,00
Luca Scarlini introduce, ad un pubblico ormai numeroso, l’autore, regista, attore napoletano, per qualcuno “il migliore attore della sua generazione”, Geppy Gleijeses e subito si entra nel vivo della discussione attorno al lavoro teatrale che debutta questa sera alle 21,30 in Villa Comunale e con il quale Gleijeses torna, dopo 30 anni, all’opera di Eduardo: “Ditegli sempre di si”.
Il testo, scritto nel ’25, ma rivisitato più volte (circa 10 le versioni sulle quali ha lavorato il regista) e andato in scena per la prima volta nel 1932, presenta una profonda riflessione sulla pazzia, così cara a tutto il teatro contemporaneo dalla quale Eduardo, nella sua triplice funzione di autore-attore-regista, non poteva prescindere. Ma diversamente da quanto avviene nel teatro di Scarpetta e in quello di Pirandello, in cui la pazzia è quasi sempre simulazione della pazzia (si pensi a Enrico IV o a Così è si vi pare), in Ditegli sempre di si ci troviamo di fronte a un pazzo vero.
La pazzia di cui è affetto il protagonista e che dà vita ad una catena di equivoci esilaranti, è quella che gli psicologi chiamano l’assenza del simbolo. “Michele Murri, da me interpretato, deve credere esattamente a tutto quello che gli dicono; in lui non c’è posto per la metafora e così, per esempio,quando un amico di famiglia giura che non guarderà più negli occhi suo fratello fino a che non sarà morto, Michele corre a mandare un telegramma con la triste notizia”.
“Questa follia linguistica, osserva Scarlini, diventa un modo per raccontare la volontà , l’opera è scritta in pieno fascismo, di schiacciare l’individualità di chi è diverso”.
In realtà nelle cantate dei giorni pari, quelle della prima produzione edoardiana, i giorni della spensieratezza e dell’allegria, si preannunciano i temi sviluppati nelle commedie delle cantate dei giorni dispari che segnano, con l’avvicinamento a Pirandello, un momento di riflessione sui problemi della società borghese italiana, in particolare napoletana, del dopoguerra.
In scena, con Gleijeses nel ruolo del protagonista, tra gli altri, il figlio Lorenzo, che ha già lavorato in coppia con il padre, e Gennaro Cannavacciuolo, “una meravigliosa Teresa mancante, anche lei, di qualche rotella”
L’incontro è quasi giunto al termine.
Voglio fare i miei complimenti a Renato Quaglia per la capacità di proporre al pubblico tanti generi diversi in un unico Festival. Così Geppy Gleijeses saluta il pubblico mentre Scarlini ricorda che quando a Eduardo fu chiesto di celebrare in pubblico la nascita dell’Impero, la sua risposta fu un laconico “ditegli sempre di si”.
La conversazione riprende dopo qualche minuto e un buon caffè e questa volta a duettare con Scarlini c’è Francesco Saponaro.
Da stasera, infatti, nelle magnifiche sale di Castel Capuano, debutterà “A causa mia”, scritto a otto mani con Antonio Marfella, Vladimir Marino, Luciano Saltarelli e prodotto da Teatri Uniti, Teatro Festival Italia, Mercadante Stabile di Napoli e Teatro Stabile d’Abruzzo.
Lo spettacolo mette in scena, attraverso il consueto uso di Saponaro dell’interazione di linguaggi espressivi diversi , il processo per plagio e contraffazione intentato da Gabriele D’Annunzio ai danni di Eduardo Scarpetta per la parodia non autorizzata de “La figlia di Iorio” che si concluse nel 1908 con l’assoluzione di Scarpetta per inesistenza di reato, che a poco valse se è vero che a soli 5 mesi dalla sentenza Scarpetta decise di lasciare per sempre la scena.
L’attento lavoro di ricerca biografica sulla vita di Scarpetta, le memorie della sorella Maria, l’elaborazione dei percorsi lirici dei poemetti in endecasillabi e settenari che lo stesso Scarpetta scrisse in memoria dei fatti dimostrano che la causa, durata 5 anni, gli procurò l’allontanamento e il distacco del mondo culturale e dell’intellighentia, aprendo una ferita che non si sarebbe più rimarginata
La vicenda è messa in scena negli spazi immaginati e allestiti da Lino Fiorito, pittore e scenografo napoletano.
“Ho pensato al Mausoleo di Posillipo per girare le scene dell’incontro tra D’Annunzio, interpretato da Peppe Servillo, e Scarpetta, il cui ruolo è affidato a Gianfelice Imparato”, sub specie film muto e proiettate durante lo spettacolo nel salone dei busti dell’antica sede del tribunale di Napoli.
Castel Capuano – continua Fiorito - è talmente forte in se come luogo che gli oggetti navigano in questo spazio, alleggeriti nel loro impatto visivo che fa posto alla scena così come si presenta nella sua natura.
E allo spazio scenico Saponaro guarda con occhio attento, lo spazio nella sua totalità, in cui sapientemente si intrecciano i diversi piani stilistici della narrazione. “Il pubblico assiste alla piece seduto nel saloncino dei busti, ma il suo sguardo continua a viaggiare fuori da questo spazio attraverso le immagini girate in tempo reale tra l’aula e il salone”
Castel Capuano rappresenta il primo segmento di un percorso che passando per Pescara il 25 giugno , nei dannunziani spazi dell’Ex Aurum, approderà il prossimo autunno al Teatro San Ferdinando, la cui forma –ricorda Saponaro – abbraccia la piazza così come il suo foyer è concepito come un abbraccio carezzevole verso il pubblico.
Tra gli attori, ancora, va ricordato Luciano Saltarelli, nel ruolo di Rosa De Filippo e Gigio Morra che interpreta l’avvocato difensore di Scarpetta.
Sia io che Imparato, confessa Saponaro, saremmo stati contenti se il ruolo di Scarpetta fosse stato interpretato da Mario Scarpetta senza nulla togliere a Gianfelice che è capace di passare dal comico, dal leggero, al tragico e di raccontare, con la sua interpretazione, la spossatezza e l’agitazione che Eduardo Scarpetta visse negli anni del processo.
Scarlini interviene ricordando che nella parodia Scarpetta trasforma i mietitori di Norcia in lavandaie - la sua, va ricordato è una parodia plebea e in questo senso sovversiva anche rispetto a tutta la produzione classica scarpettiana – il cui ruolo è stato affidato da Saponaro a tre detenute della Casa Circondariale di Pozzuoli.
Dal pubblico arriva una domanda: quale sarà il futuro delle detenute dopo questa esperienza?
Per Saponaro non c’è dubbio. “il tetro non può salvare, ma di certo può offrire delle occasioni di riscatto ed emancipazione anche da trascorsi estremamente difficili e complicati”
Alessandra Forni
19.6.08
Geppy Gleijeses, Francesco Saponaro e Luca Scarlini al Premio Napoli
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